giovedì 31 maggio 2012

Il poeta senza poesia (1)

- Uff, un ultimo sforzo e ci sono – disse, ansimando e sbuffando, fra sé e sé, mentre si inerpicava per l'ultima, ripida salita che lo divideva dal luogo che aveva visto qualche giorno prima e che lo aveva tanto piacevolmente impressionato. Era esausto, il sudore gocciolava dalla sua fronte bagnandogli la maglietta, i muscoli delle gambe ad ogni nuovo piegamento gridavano in cerca di pietà e riposo, le mani tumefatte e livide avevano assunto un colorito violaceo, tuttavia, nonostante il dolore, spese le sue ultime energie e raggiunse la meta da lui prestabilita. Scese dalla bicicletta, tirò un profondo sospiro di sollievo e si posizionò, mani ai fianchi, a gambe aperte difronte al paesaggio. La vista era spettacolare: il cielo limpido, trasparente, libero da nubi infondeva un profondo senso di pace e serenità e permetteva di scorgere addirittura il paese in lontananza, Farso, e le varie case raccolte intorno al suo centro. Nessun cantiere, palazzo, strada, semaforo intaccava quel luogo, se non qualche palo della luce infilato qua e là nel terreno. Gli unici suoni che si udivano erano quello di un mulino in lontananza e di qualche grillo; erano melodie, musiche per le sue orecchie, in tutto dissimili dai metallici, sgraziati e aggressivi sferragliamenti, cigolii, strepiti della città. Un leggera e piacevole brezza accarezzava il suo volto, facendolo sorridere. La terra davanti a lui era tutt'altro che lineare, presentava varie gobbe, sinuose nelle proprie curve, divise da alcuni alberi affastellati uno sull'altro. Sporadicamente, sul culmine di quelle bolle terrose comparivano casupole, alcune bianche, altre rosse, gli unici colori che si distinguessero dal verde che con tutte le sue tonalità abbracciava ogni cosa. In lontananza alcuni calanchi con le loro forme aguzze e spente, apparivano arti in cancrena di un corpo estremamente vitale. Ma nonostante la loro apparenza cadaverica, qualche ciuffo d'erba era riuscito ad imporsi su di essi, quasi a stendardo della forza della natura. Se vi fosse stato un ruscelletto di acqua fresca e pura si sarebbe a tutti gli effetti potuto definire come un Paradiso. Un profondo spirito poetico si impossessò di Enrico, quasi che le anime dei grandi poeti del passato avessero improvvisamente deciso di sfruttare il suo corpo come involucro e rendere partecipi, con i loro aulici versi, l'umanità della piacevolezza di quel luogo. Estrasse rapidamente dallo zaino un blocco appunti e una penna. Decine, centinaia, migliaia di idee iniziarono a affollargli il cervello. Non appena trovò una pagina bianca, vuota, pronta per essere riempita con le proprie considerazioni su quel luogo così ispiratore, la penna gli cadde accidentalmente a terra e iniziò a rotolare lungo la collina, fino a confondersi nel campo di spighe poco avanti a lui.

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