domenica 29 luglio 2012
Pensieri - Affinità Fortuita
Siamo come pezzi di puzzle diversi:
ci incastriamo l'uno con l'altro solo per caso, insieme non creiamo un disegno armonioso e uniforme.
martedì 24 luglio 2012
Piccola notifica
Piccolissima informazione di servizio: come potete facilmente notare ho leggermente modificato l'aspetto esteriore del blog aggiungendo i due box "Cosa sto guardando/ho guardato" che contiene serie televisive che sto guardando in questi giorni (ovviamente nel complesso ne seguo molte di più) o film appena finiti di vedere (ammetto che, cinematograficamente parlando, sono un po' indietro, dunque se troverete titoli celeberrimi visti e stravisti non pensante male di me, sto cercando di recuperare tutti i grandi successi che mi son perso) e "Cosa sto leggendo", che si spiega da solo, almeno mi pare. L'idea è di fornire lo spunto per quei momenti di depressione e tristezza in cui non sappiamo cosa vedere (magari perché in TV danno sempre e solo le stesse cose), ascoltare (magari perché MTV ci ha stancato o la radio mette in rotazione sempre le stesse canzoni) o leggere (magari perché non siamo ispirati).
Non ho generalmente la tendenza a leggere più libri insieme, dunque se nell'elenco trovate 4 titoli, sappiate che il primo in alto è quello corrente, mentre gli altri sono quelli precedenti che, come per le altre "rubriche", lascierò come sorta di "cronologia".
Spero possiate davvero prendere ispirazione.
L'ultimo soldato (5/5)
Non potei ascoltare un sola altra parola, presi la mia giacca, mi alzai e mi diressi all'esterno del cinema. Passai come un fulmine a fianco dello strappa-biglietti, il quale non alzò nemmeno un muscolo, e uscii.
Iniziai a tremare, il mio corpo doveva abituarsi a passare dal tepore dell'interno del locale al glaciale clima esterno. BOOM. Sussultai, il cuore mi balzò in gola e iniziò a battere all'impazzata, temei che da lì a poco avrebbe potuto scoppiare. Maledetti ragazzini pensai tra me e me, che divertimento ci trovano a dar fuoco a una manciata di polvere da sparo per un solo giorno all'anno? Quello che più di ogni altra cosa non capivo era perché fosse diventata una tradizione. Innanzitutto non portava vantaggi di alcun tipo se non ulteriori ferite al portafoglio, erano fastidiosi, visto che con il loro suono sembravano quasi bucarti il timpano ogni volta, e, soprattutto, erano pericolosi: c'era veramente il rischio di farsi male. Trascorrere un anno privi di un arto per una inutile tradizione. E invece tutti erano fuori all'aperto (rischiando, per altro, un malanno) tra esplosioni di suoni e colori. Un vero spreco di tempo. Ma, cosa peggiore di tutte, perché ripetersi ogni anno? Viviamo in un'epoca in cui le strade percorribili sono infinite: paesaggi nuovi, usanze sconosciute, personaggi inimmaginabili e, invece, anche nei momenti, come le feste, in cui possiamo veramente dedicarci a noi stessi, finiamo per fare le stesse cose.
lunedì 23 luglio 2012
L'ultimo soldato (4)
«Lo sai che non posso» riprese il ragazzo «ne abbiamo già parlato, fidati di me, tornerò» pone la mano enorme sul suo braccio, scioglie il nodo di un braccialetto verde che ha con sé e lo mette nelle sue mani «Ti ricordi? E' stato il primo regalo che mi hai fatto, a S. Valentino, 3 anni fa. Il verde rappresenta la speranza, sarà la mia garanzia del ritorno. Ogni volta che il tuo pensiero sarà rivolto a me e il tuo cuore inizierà a piangere tienilo stretto a te e ricorda queste parole»
Non riuscii a contenere una sonora risata che fece girare verso di me qualche anziana signora che invece pareva apprezzare particolarmente quel film, se non altro per la prestanza del giovanotto. Il verde rappresenta anche l'invidia se è per questo, avrei voluto urlare, ma come si fa a credere a queste idiozie? Era tutto troppo costruito, scontato, insignificante. Quando mai nella vita reale accadono cose di questo genere. Ora, magari, la donna burbera lo starebbe rimproverando per averle fatto perdere tempo e gli starebbe imponendo di farsi trovare a casa sua alle 20.00 in punto, non un minuto prima, non un minuto dopo, per portarla fuori a cena. Sicuramente sarebbe stata una versione cinematografica controcorrente.
Dopo quelle parole la ragazza, piangendo, corre via. Milton se ne sta lì, possente, a guardarla allontanarsi dal pianerotto, malinconico. Assume l'aspetto di un titano incatenato ad un monte: colossale sì, ma impotente. Ad un certo punto compare alle sue spalle la madre, con una voce spezzata a tratti dai singhiozzi «Come l'ha presa?» Milton, infastidito «Male... decisamente male...» «Pensi di tornare a vederla prima di partire?» «Non credo servirebbe a qualcosa, lascerò che si calmi da sola, non posso fare altro e poi mi farebbe troppo soffrire» «A che ora partirai?» «Il treno parte alle 4.30» «...».
Dopo una brevissima pausa di buio, la scena si riapre con Milton che, bagaglio in mano, attende il treno. Da lontano una voce...
Dentro di me speravo con tutto il cuore che non fosse veramente...
Un urlo da lontano «Milton ti prego non andare!»
Era davvero lei...
domenica 22 luglio 2012
L'ultimo soldato (3)
«...» gli occhi della ragazza si spalancano e iniziano a riempirsi di lacrime «Ti prego Milton ripensaci, ti supplico, ho bisogno di te, lo sai» gli si lancia con le braccia al collo e inizia a piangere.
Era, ovviamente, molto più bassa di lui, tanto che la testa, pur impuntando i piedi, non superava la metà del suo busto. Tutti questi film non rendono mai troppo bene la parità dei sessi: l'uomo viene sempre rappresentato un gradino sopra la donna, non si capiva bene il perché. Forse perché doveva essere accentuata anche fisicamente la figura del soldato roccioso e indifferente al dolore, forse per fare colpo sul mondo femminile più ingenuo. Sicuramente sarebbe stato più originale e divertente vedere lei alta e imponente mentre lui piccoletto e tarchiato. Ahimè quanta banalità!
Le cinse il corpo con le braccia, quasi un gigante che stritola la sua vittima, china il capo sul suo e inizia a dire «Non piangere dai, fidati di me, tornerò» la ragazza si libera bruscamente dalla presa, quindi inizia a guardarlo intensamente negli occhi al punto che Milton, come pietrificato, anche volendo non avrebbe potuto guardare da un'altra parte «Chi me lo assicura? Chi? Come puoi promettermi che tornerai? Come? Milton, ti prego, non andare, non ce n'è bisogno, ho bisogno di te, non posso vivere senza di te» la voce si fa ruvida, graffiante, sgraziata e scomposta, inizia ad acuirsi come quella di un gatto stizzito dopo aver subito un torto.
Il trionfo dell'ovvietà! Quanta sdolcinatezza! Chissà quanto sarebbe diverso se la ragazza avesse un fisico austero e gli imponesse, ordinandoglielo, di tornare in casa, vestirsi normalmente e dimenticarsi della guerra. Con tanta varietà, con tante multiformi possibilità, era veramente necessario creare una storia così banale?
sabato 21 luglio 2012
L'ultimo soldato (2)
Il suo nome era Milton – iniziò una voce di sottofondo – non sapeva quello che lo aspettava, nessuno lo poteva immaginare. Qualcosa però lo spingeva a farlo, a combattere.
Una donna sulla cinquantina, il volto ormai da tempo travolto dalla vecchiaia, verso la quale non aveva tentato nemmeno una minima resistenza, una lunga ed inelegante sottana con una fantasia a fiori, un golfino giallo canarino indossato come per rimanere nell'anonimato. I capelli color rame, raccolti, sicuramente tinti, per illudersi di essere ancora viva, o, almeno, per evitare di diventare totalmente invisibile agli occhi degli altri.
«Milton, ti prego, puoi ancora rinunciare, ti supplico» inizia a piangere, disperata, le sue lacrime colmano in breve tempo i profondissimi solchi che gli anni avevano inciso sulla sua pelle come un trattore sul campo da seminare.
L'inquadratura si sposta su un giovane alto e muscoloso, indossa un'attillata camicia bianca che ne risalta le forme, un paio di pantaloni militari e anfibi neri, lucidissimi.
«Mamma, ne abbiamo già parlato, ora basta! Ho 18 anni e mezzo e posso fare quello che voglio della mia vita» la mascella quasi bionica si richiude, ricomponendo il suo viso liscio, delicato e pulito. Come se un risentimento stesse risalendo dal profondo del suo ventre, forzato, si volta verso di lei e, pentito, dice: «Senti» la prende per le braccia «devo farlo, so che non capisci e forse non capirai mai, ma sento dentro di me qualcosa che mi spinge a imboccare questa strada» molla la madre con freddezza e raccoglie un sacco color verde scuro, un verde paludoso, e inizia a riempirlo di calzini bianchi e altri indumenti, non curante della reazione della madre, verso la quale si sposta la telecamera, inquadrando un volto struggente.
Il solito filmetto da quattro soldi, riflettei fra me e me, com'è possibile che nessuno riesca a pensare abbastanza fuori dagli schemi per creare qualcosa di nuovo? Il bello che deve andare in guerra, la mamma disperata, ora vedremo anche la fidanzata disperata immagino...
Compare una ragazza splendida, di quelle che sono totalmente inconsapevoli del proprio fascino e che, soprattutto, non fanno nulla per accentuarlo, belle di natura. Pura e semplice, ha lunghi capelli lisci castani e un viso minuto ma incredibilmente grazioso. Indossa un paio di jeans attillati e una t-shirt bianca con un girasole, un abbigliamento non studiato, non pensato, ma proprio per quello irriproducibile. Saliti tre scalini bianchi inizia a bussare ad una porta dello stesso colore. Neanche il tempo di sbattere le ciglia che già stava premendo con grande insistenza il campanello, spazientita per l'attesa. Quindi inizia a bussare più forte, a suonare e a bussare, a bussare e a suonare, sicuramente i tonfi della porta che rimbalzava sotto i suoi tumulti si sentivano fin da lontano. Improvvisamente la porta si apre. Il ragazzo emerge dal buio dell'interno.
venerdì 20 luglio 2012
L'ultimo soldato
- Buonasera, uno per “L'ultimo soldato” grazie
- Ecco a lei, buona visione
- La ringrazio
Preso il biglietto mi diressi verso il corridoio che mi avrebbe introdotto nella sala. A braccia conserte, quasi a guardiano di un cancello per l'aldilà, un uomo di mezz'età: sulla sommità della testa stava progressivamente espandendosi una calvizie alquanto pronunciata, gli rimaneva ormai solamente un piccolo atollo di capelli grigiastri; gli occhi spenti, opachi, fumosi, come due fantasmi in pena cercavano la redenzione in una scenografia violacea, inutilmente; non era particolarmente alto, né particolarmente magro, a dir la verità non aveva alcun particolare che lo distinguesse dalla massa, un comune essere umano: vestito banalmente attraverso un accostamento di colori acido e violento che confermava la sua totale noncuranza per l'apparenza. Dava l'impressione di essere stanco, esausto, distrutto. La professione di strappa biglietti sembrava averlo svuotato, privato dell'essenza e sfruttare opportunisticamente il suo corpo come involucro. La tipica persona con la quale hai un contatto ma che, in realtà, ha per te una valenza approssimativamente pari a zero, triste dopotutto, soprattutto in un giorno come quello. Gli porsi il biglietto.
- …
- Prego, buona visione e buon anno soprattutto
Mi disse con aria spazientita, quasi l'avessi improvvisamente e rudemente strappato dai suoi pensieri.
- Grazie
Una gentilezza gratuita, pronunciata come se costretti; forse per questo si disperse rapidamente nell'aria, priva di consistenza.
Nel giro di qualche passo ero già all'interno del locale. Le luci erano ancora accese e come al solito sul grande schermo venivano proiettate pubblicità dei locali nelle circostanze, dei paesi vicini, pizzerie, oreficerie e centri informatici. La sala era quasi vuota: qualche coppia di anziani e qualcuno in solitario, tutti adeguatamente disposti in maniera tale da essere distanti almeno 5, 6 posti l'uno dall'altro; quasi si avesse paura di un contatto umano, quasi fosse implicita, ovvia, data per scontata la necessità, quando possibile, di stare il più possibile distanti l'uno dall'altro, per avere maggiore comodità, forse, privacy, magari o, semplicemente, per paura del confronto con l'altro, di sottoporsi all'inevitabile giudizio dello sguardo estraneo. Scelsi con accuratezza scientifica il posto in cui sedermi, e, facendolo, mi sentii fiero di aver messo in pratica ciò che sin da piccolo mi veniva consigliato in merito all'incredibile vista che si aveva da una posizione elevata, ma non troppo, e quanto più possibile centrale rispetto allo schermo. Tolsi la giacca e con grande precisione la disposi sul sedile a fianco, sicuro che quella fosse la posizione migliore. La mia fila era occupata solamente da un'altra persona, una donna, una bella donna, aveva l'aria sicura di sé, di quelle esponenti del mondo femminile che già al primo incontro ti conoscono meglio di te stesso e ti trapanano con il loro sguardo di sufficienza stabilendo sin da subito i limiti che non dovevi superare e che, nella maggior parte dei casi, non potevi nemmeno sperare di raggiungere. Doveva sicuramente avere una buona ragione per essere in uno squallido cinema di periferia, soprattutto in un giorno del genere.
Si spensero le luci, stava per iniziare.
Una scritta a caratteri cubitali: 21 Giugno 1939, Londra
Anfibi di pelle nera, lucidissimi. Avanzano creando un suono piacevole, quasi rassicurante su uno splendente parquet.
martedì 17 luglio 2012
Delirio informatico (2)
Ciò che è terrificante è che attraverso la tecnologia è facile ingannare. Un tempo i genitori, i nonni erano nettamente superiori ai figli, ai nipoti, questo permetteva loro di guidarli, di istruirli, di inculcare loro un certo tipo di valori, di mettere le proprie esperienze di vita a servizio degli altri, ora un ragazzino di 12 anni sa già cos'è un iPhone, che differenza c'è con un Samsung Galaxy Ace Plus, cos'è un tablet e come riconfigurare la televisione per il digitale. Ora i giovani controllano gli adulti. Un tempo il 100% dei soldi che davi a tuo figlio sapevi dove finivano: una pizza con gli amici, benzina per la macchina, regalo di compleanno per la fidanzata, una birretta il venerdì sera, ora invece questa percentuale si è drasticamente ridotta. Molti genitori non sanno scaricare una canzone dal PC o mandare un'e-mail, dunque come possiamo pretendere che conoscano le ultime funzionalità, potenzialità e novità tecnologiche così da compiere acquisti oculati? Non è possibile. Superfluo dire che esistono eccezioni, anche io ho amici con genitori “informati di informatica”, per passione, curiosità o lavoro, ma sono una minoranza. Un tempo la mamma poteva dire no al figlio che gli chiedeva di comprargli quel tal pacchetto di caramelle, perché sapeva che gli avrebbero fatto male, allo stesso modo poteva coprirgli gli occhi durante una scena hard di un film qualsiasi. Ora la mamma compra il cellulare al figlio senza comprendere a pieno i suoi poteri, cosa impedisce al bambino di ritirarsi nella propria camera e, quando è da solo, guardarsi un filmino porno o comprarsi online il pacchetto di caramelle che tanto desiderava? La tecnologia ha reso i giovani troppo potenti, troppo superiori ai vecchi. Loro non possono guidarsi da soli, non possono, non riescono.
Inganni non solo interni, ma anche esterni. Nemmeno il bambino può comprendere a pieno la forza del cellulare che sta andando a comprare, non conosce le caratteristiche specifiche come il processore, la qualità della fotocamera digitale o i sistemi operativi, magari ha sentito qualche nome, ma non li conosce nel profondo, non li sa confrontare con gli altri. Questo apre un'altra fascia di libertà, questa volta al venditore, che può facilmente aggirare, ingannare, è una sorta di Azzeccagarbugli del ventesimo secolo, che usa parolone incomprensibili, prestiti stranieri o neologismi e riesce, magari, a convincerti a comprare un oggetto più costoso di un altro. Oggi quando ho comprato il cellulare, nonostante fossi relativamente sicuro, per via di informazioni ricevute da miei amici NERD, dell'acquisto, ho sperato nel mio profondo che quel venditore di cellulari fosse moralmente integro, onesto potremmo dire.
Dall'informazione tecnologica, insomma, derivano grandi poteri, e, come sappiamo tutti, da grandi poteri derivano grandi responsabilità.
Delirio informatico (1)
Oggi ho comprato un nuovo cellulare. Anzi, meglio, oggi mi è stato comprato un nuovo cellulare. 200€. All'incirca 22 ore di lavoro. Quasi 3 giorni di lavoro. 3 giorni di lavoro per un cellulare. 3 giorni di fatica, sudore, forza di volontà, resistenza fisica e mentale, sopportazione e sofferenza, per un cellulare. Un oggetto che può chiamare, può mandare messaggi e, ora, può anche farti leggere la Divina Commedia ovunque tu sia, può farti connettere ad internet nel centro di Roma e scrivere che sei al centro di Roma in un social network così che tutti lo sappiano, può offrirti centinaia di giochi, può assisterti, coccolarti ovunque tu sia. Un oggetto non veramente utile. L'uomo per anni, decenni, secoli, migliaia di anni ha vissuto senza il cellulare, ha vissuto senza Temple Run o la Divina Commedia portatile. Da quando siamo diventati così pigri? Così dannatamente schiavi non solo della tecnologia, ma delle comodità. Sì, sicuramente l'uomo ha da sempre la tendenza a facilitarsi la vita, non è mica stupido, a rendersi tutto più rapido e semplice. Questo è normale. Dal mio punto di vista è una fortuna non dover rischiare la morte per attraversare l'Oceano Atlantico come fece Cristoforo Colombo. Però c'è un limite a tutto, certe cose sono eccessive. L'altro giorno ho visto alcuni ragazzi seduti uno a fianco dell'altro, tutti con il cellulare. E' questo che siamo diventati? Prigionieri della tecnologia? Incapaci di comunicare apertamente, direttamente, umanamente l'uno con l'altro? Io spero di no, però intanto mi giro fra le mani un pezzo da 200€, ipocrisia? Sì, un po', però consapevole, triste, malinconica.
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