giovedì 27 settembre 2012
La canzone della settimana #3 (24/9 - 30/9)
La canzone che vorrei proporre questa settimana è di un gruppo assolutamente sconosciuto (non solo in Italia, visto il bassissimo numero di visualizzazioni): i Trik Turner, con la loro canzone di maggior successo Friends and Family.
A livello di genere musicale, sicuramente risulta un ottimo esempio di connubio tra rock e rap, presenta infatti forti affinità, nel primo caso musicali, nel secondo testuali, con entrambi. Il testo delle canzone è sicuramente ben fatto, ma ciò che lo fa risaltare ulteriormente è il cantato del leader del gruppo, Doug Moore, che fa uso di un'accentazione molto particolare, per creare ovviamente effetti musicali d'effetto.
Wikipedia li annovera poi tra i primi che hanno offerto due versioni differenti del videoclip della canzone, effettivamente su YouTube troverete due versioni: "Boys version" e "Girls Version".
Com'è avvenuto per diverse altre canzoni, l'ho scoperta attraverso la serie televisiva Scrubs unitamente all'aiuto dell'affidabilissima applicazione Shazam
Voto PERSONALE: 7.75/10
'Cause all's I need is the air that I breathe
And my friends and family to believe in me.
mercoledì 26 settembre 2012
La melodia dei soldi
Con riferimento alla musica, l'aggettivo “commerciale” definisce il comporre canzoni per motivi strettamente venali, per una questione puramente economica. Vorrei fare qualche esempio per chiarire meglio il mio pensiero. Ad Eamon quando ha scritto F*ck it non gliene fregava proprio niente dei soldi, era stato tradito dalla fidanzata, ci stava malissimo e ha deciso di esprimersi attraverso la musica (allo stesso modo avrebbe potuto dipingere un quadro, scrivere una poesia, prepararsi per una maratona, uscire in strada e prendere a pugni il primo che gli passava davanti, e così via. Fortunatamente non è andata così), che poi gli sia venuto fuori qualcosa di orecchiabile e facile da tenere in testa, questo è stato un altro grandissimo risultato INSPERATO. Per lui, in quel momento, la musica era semplicemente un canale preferenziale di comunicazione con il mondo. Mentre a Flo Rida quando ha scritto Whistle, secondo me, gli fregava poco e niente di comunicare qualcosa, gli interessava creare qualcosa adatto alla discoteca, ad essere ballato, e quindi, nel mondo odierno, di fare soldi, perché son quelle le canzoni che permettono con SICUREZZA di guadagnare MOLTO (il che significa che è più facile comporre un The club Can't Handle Me che scovare una Adele, secondo me). E' evidente, dunque, per quale delle due la definizione “commerciale” sia più calzante.
A questo punto, si aprono due possibilità: la prima è di ritenere legittima questa motivazione, metterla quindi al pari di altre come la denuncia sociale (tanti rapper anni '90 per esempio) o la sofferenza per la perdita di qualcuno (Sometimes You Can't Make It On Your Own degli U2), e così tante altre; la seconda è di crocifiggerla per il fatto che snatura l'arte, che soffoca il momento dell'illuminazione fulminante, dell'ispirazione divina che colpisce gli artisti. Ritenere "commerciale", insomma, come un giudizio negativo. C'è in realtà un'altra possibilità, di compromesso, e consiste nel realizzare che ormai il mondo va in quella direzione, capirlo e accettare una leggera vena di malinconia e tristezza. Della serie “ascolto Whistle, la canticchio e la ballo, ma mi piange il cuore”, che è il mio sentimento principale quando vado in discoteca.
Aggiungerei che è poco appropiato etichettare un intero artista come “commerciale”, possono esistere album più “monetizzabili” e “monetizzati” di altri, così come, all'interno dello stesso LP, canzoni più danarose e altre meno. A questo proposito penso sia necessaria la citazione dei Black Eyed Peas, in loro, a parer mio, è evidente un rapido cambio di direzione. Where is the love, la canzone con cui hanno sfondato, è pregna di significato, di valori, di denuncia, di sofferenza, di tristezza per il mondo; Bom Bom Pow, invece, è totalmente distante, se non diametralmente opposta, in quanto non ha nulla da comunicare. Un altro esempio, meno profondo, potrebbero essere i Maroon 5: Payphone, una delle ultime hit, non è che un continuo ripetersi degli stessi tre versi, tanto che a 3/4 è stato necessario introdurre Wiz Khalifa per evitare un'eccessiva monotonia; mi sembra significativamente distante da She Will Be Loved, pur non troppo articolata a livello testuale, ma sicuramente più "profonda".
mercoledì 19 settembre 2012
La canzone della settimana #2 (17/9 - 23/9)
La canzone che vorrei proporre questa settimana è Wonderwall del gruppo britannico Oasis; contenuta in quello che è forse il loro album di maggior successo, "(What's the story) Morning Glory?" (1995).
Si caratterizza per un forte messaggio sentimentale, tutto rivolto alla propria amata. Ho trovato bellissima la metafora del wonderwall , del "muro dei desideri", neologismo usato per definire una persona che ha tutto quello che desideriamo. E' però un muro, non qualcosa di aperto e facilmente accessibile, questo per sottolineare che comunque è necessario impegno, fatica, sofferenza per riuscire a scavalcarlo e quindi raggiungere la propria amata. L'amore, insomma, come una cosa bellissima ma anche ardua e estenuante. Una definizione perfetta.
Voto PERSONALE: 9/10
Because maybe, you're gonna be the one that saves me
And after all, you're my wonderwall.
sabato 4 agosto 2012
Pensieri - Eccesso di umanità
Più cresce il numero degli uomini e meno c'è bisogno di uomini. L'uomo si sta rendendo indipendente da sè stesso.
mercoledì 1 agosto 2012
La canzone della settimana #1 (30/7 - 5/8)
Premessa: Con questa rubrica intendo segnalare una canzone che mi ha illuminato la settimana, che, fra tutte quelle che ho ascoltato, è riuscita ad emergere, a colpirmi particolarmente. Questa canzone potrà essere vecchia o nuova, rap, pop, metal, reggae etc., di un artista maschile, così come femminile, di un gruppo così come di un solista. Ma, soprattutto, vorrei specificare che si tratta di una scelta che la maggior parte delle volte sarà strettamente personale e dipenderà dai fattori che influenzano anche la vostra vita: scuola, lavoro, vita sociale, famiglia, amore etc., questo porterà alla scelta di canzoni più "depresse" e "deprimenti" in certi momenti "neri" e più "solari" e "divertimenti" in altri. Ah, un'ultima cosa, teoricamente ha senso pubblicare questa rubrica alla domenica, o comunque nel weekend, così da poter aver chiara la visione dell'intera settimana, ma so già che, a volte, dovrò venire meno a questa "regola" per l'eccezionalità della scoperta.
La canzone che vorrei segnalare questa settimana è Hall of Fame dei The Script feat. Will.I.Am (per chi non lo sapesse cantante dei Black Eyed Peas). Dopo essersi incontrati e conosciuti al talent show "The Voice UK" (edizione inglese del programma che aveva già riscosso grande successo in America, contraddistinto dal fatto che i giudici scelgono senza vedere i vari artisti, ma semplicemente ascoltandoli) Danny O’Donoghue (frontman dei The Script) e Will devono anche essersi artisticamente innamorati l'uno dell'altro e deciso di collaborare. Il brano rappresenta il primo singolo estratto dal nuovo album della band irlandese, che verrà rilasciato a settembre di quest'anno con il titolo "#3" (effettivamente è il loro terzo album). La canzone è molto orecchiabile, dal forte messaggio ispiratore, nel quale si esorta a seguire la propria strada, a diventare qualcuno, per poi riuscire a stare, appunto, "in piedi nella Hall of Fame" (espressione usata per indicare un insieme di soggetti che si sono particolarmente distinti in uno specifico campo di attività). Sono quelle canzoni che ti esaltano, che ti caricano di buoni propositi e speranze. A me ha un po' ricordato la canzone di un altro membro dei Black Eyed Peas, ovvero "We Can Be Anything" di Apl.de.ap (che, tra l'altro, sta progressivamente diventando cieco per via di una malattia genetica), che però era passata in sordina. Diciamo che contenutisticamente parlando non si può parlare di estrema originalità, è anche vero però che in un periodo di (devo proprio usare anche io quella parola?) crisi non fa mai male. Come qualcuno ha commentato sotto il video di YouTube, è stata rilasciata in un momento ampiamente favorevole, quello delle Olimpiadi, a cui si adatta perfettamente. A parer mio ha tutto quello che serve per diventare una vera hit
Voto PERSONALE: 7/10
Standing in the hall of fame
And the world's gonna know your name.
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Opacità aggettivale
Incredibile. Fantastico. Spettacolare. Meraviglioso. Eccezionale. Splendido. Favoloso. Bellissimo. Squisito.
Sono parole di cui oggi giorno abusiamo. Quando ci consegnano un regalo e ci chiedono come lo troviamo; quando assaggiamo un piatto preparato da qualcun'altro e questo vuole sapere cosa ne pensiamo; quando siamo davanti ad un monumento, una statua, un quadro, un paesaggio o un nuovo strumento tecnologico, queste sono le uniche parole che ci vengono in mente. E' una cosa che mi ha sempre dato fastidio: sembriamo incapaci di definire nel modo corretto la realtà. Questo non dipende da una ragione “interna”, infatti abbiamo immediatamente sensazioni positive o negative più o meno intense, il problema è che non siamo in grado di esprimerle correttamente. Per di più, sono tutti modi adatti ad esprimere un apprezzamento esagerato di un determinato elemento, quando, in realtà, raramente ci si trova davanti a qualcosa di così “superlativo”.
Per sfuggire alla banalità, si potrebbero usare termini come:
epico, leggendario, fenomenale, incantevole, stupefacente, ottimo, poetico, inenarrabile, avveniristco, e così tanti altri. Sono infinite le possibilità della nostra lingua, aggettivi e metafore ricercati, nuovi, inventati, sono la strada, la via da imboccare per non apparire persone opache e prive di genialità.
domenica 29 luglio 2012
Pensieri - Affinità Fortuita
Siamo come pezzi di puzzle diversi:
ci incastriamo l'uno con l'altro solo per caso, insieme non creiamo un disegno armonioso e uniforme.
martedì 24 luglio 2012
Piccola notifica
Piccolissima informazione di servizio: come potete facilmente notare ho leggermente modificato l'aspetto esteriore del blog aggiungendo i due box "Cosa sto guardando/ho guardato" che contiene serie televisive che sto guardando in questi giorni (ovviamente nel complesso ne seguo molte di più) o film appena finiti di vedere (ammetto che, cinematograficamente parlando, sono un po' indietro, dunque se troverete titoli celeberrimi visti e stravisti non pensante male di me, sto cercando di recuperare tutti i grandi successi che mi son perso) e "Cosa sto leggendo", che si spiega da solo, almeno mi pare. L'idea è di fornire lo spunto per quei momenti di depressione e tristezza in cui non sappiamo cosa vedere (magari perché in TV danno sempre e solo le stesse cose), ascoltare (magari perché MTV ci ha stancato o la radio mette in rotazione sempre le stesse canzoni) o leggere (magari perché non siamo ispirati).
Non ho generalmente la tendenza a leggere più libri insieme, dunque se nell'elenco trovate 4 titoli, sappiate che il primo in alto è quello corrente, mentre gli altri sono quelli precedenti che, come per le altre "rubriche", lascierò come sorta di "cronologia".
Spero possiate davvero prendere ispirazione.
L'ultimo soldato (5/5)
Non potei ascoltare un sola altra parola, presi la mia giacca, mi alzai e mi diressi all'esterno del cinema. Passai come un fulmine a fianco dello strappa-biglietti, il quale non alzò nemmeno un muscolo, e uscii.
Iniziai a tremare, il mio corpo doveva abituarsi a passare dal tepore dell'interno del locale al glaciale clima esterno. BOOM. Sussultai, il cuore mi balzò in gola e iniziò a battere all'impazzata, temei che da lì a poco avrebbe potuto scoppiare. Maledetti ragazzini pensai tra me e me, che divertimento ci trovano a dar fuoco a una manciata di polvere da sparo per un solo giorno all'anno? Quello che più di ogni altra cosa non capivo era perché fosse diventata una tradizione. Innanzitutto non portava vantaggi di alcun tipo se non ulteriori ferite al portafoglio, erano fastidiosi, visto che con il loro suono sembravano quasi bucarti il timpano ogni volta, e, soprattutto, erano pericolosi: c'era veramente il rischio di farsi male. Trascorrere un anno privi di un arto per una inutile tradizione. E invece tutti erano fuori all'aperto (rischiando, per altro, un malanno) tra esplosioni di suoni e colori. Un vero spreco di tempo. Ma, cosa peggiore di tutte, perché ripetersi ogni anno? Viviamo in un'epoca in cui le strade percorribili sono infinite: paesaggi nuovi, usanze sconosciute, personaggi inimmaginabili e, invece, anche nei momenti, come le feste, in cui possiamo veramente dedicarci a noi stessi, finiamo per fare le stesse cose.
lunedì 23 luglio 2012
L'ultimo soldato (4)
«Lo sai che non posso» riprese il ragazzo «ne abbiamo già parlato, fidati di me, tornerò» pone la mano enorme sul suo braccio, scioglie il nodo di un braccialetto verde che ha con sé e lo mette nelle sue mani «Ti ricordi? E' stato il primo regalo che mi hai fatto, a S. Valentino, 3 anni fa. Il verde rappresenta la speranza, sarà la mia garanzia del ritorno. Ogni volta che il tuo pensiero sarà rivolto a me e il tuo cuore inizierà a piangere tienilo stretto a te e ricorda queste parole»
Non riuscii a contenere una sonora risata che fece girare verso di me qualche anziana signora che invece pareva apprezzare particolarmente quel film, se non altro per la prestanza del giovanotto. Il verde rappresenta anche l'invidia se è per questo, avrei voluto urlare, ma come si fa a credere a queste idiozie? Era tutto troppo costruito, scontato, insignificante. Quando mai nella vita reale accadono cose di questo genere. Ora, magari, la donna burbera lo starebbe rimproverando per averle fatto perdere tempo e gli starebbe imponendo di farsi trovare a casa sua alle 20.00 in punto, non un minuto prima, non un minuto dopo, per portarla fuori a cena. Sicuramente sarebbe stata una versione cinematografica controcorrente.
Dopo quelle parole la ragazza, piangendo, corre via. Milton se ne sta lì, possente, a guardarla allontanarsi dal pianerotto, malinconico. Assume l'aspetto di un titano incatenato ad un monte: colossale sì, ma impotente. Ad un certo punto compare alle sue spalle la madre, con una voce spezzata a tratti dai singhiozzi «Come l'ha presa?» Milton, infastidito «Male... decisamente male...» «Pensi di tornare a vederla prima di partire?» «Non credo servirebbe a qualcosa, lascerò che si calmi da sola, non posso fare altro e poi mi farebbe troppo soffrire» «A che ora partirai?» «Il treno parte alle 4.30» «...».
Dopo una brevissima pausa di buio, la scena si riapre con Milton che, bagaglio in mano, attende il treno. Da lontano una voce...
Dentro di me speravo con tutto il cuore che non fosse veramente...
Un urlo da lontano «Milton ti prego non andare!»
Era davvero lei...
domenica 22 luglio 2012
L'ultimo soldato (3)
«...» gli occhi della ragazza si spalancano e iniziano a riempirsi di lacrime «Ti prego Milton ripensaci, ti supplico, ho bisogno di te, lo sai» gli si lancia con le braccia al collo e inizia a piangere.
Era, ovviamente, molto più bassa di lui, tanto che la testa, pur impuntando i piedi, non superava la metà del suo busto. Tutti questi film non rendono mai troppo bene la parità dei sessi: l'uomo viene sempre rappresentato un gradino sopra la donna, non si capiva bene il perché. Forse perché doveva essere accentuata anche fisicamente la figura del soldato roccioso e indifferente al dolore, forse per fare colpo sul mondo femminile più ingenuo. Sicuramente sarebbe stato più originale e divertente vedere lei alta e imponente mentre lui piccoletto e tarchiato. Ahimè quanta banalità!
Le cinse il corpo con le braccia, quasi un gigante che stritola la sua vittima, china il capo sul suo e inizia a dire «Non piangere dai, fidati di me, tornerò» la ragazza si libera bruscamente dalla presa, quindi inizia a guardarlo intensamente negli occhi al punto che Milton, come pietrificato, anche volendo non avrebbe potuto guardare da un'altra parte «Chi me lo assicura? Chi? Come puoi promettermi che tornerai? Come? Milton, ti prego, non andare, non ce n'è bisogno, ho bisogno di te, non posso vivere senza di te» la voce si fa ruvida, graffiante, sgraziata e scomposta, inizia ad acuirsi come quella di un gatto stizzito dopo aver subito un torto.
Il trionfo dell'ovvietà! Quanta sdolcinatezza! Chissà quanto sarebbe diverso se la ragazza avesse un fisico austero e gli imponesse, ordinandoglielo, di tornare in casa, vestirsi normalmente e dimenticarsi della guerra. Con tanta varietà, con tante multiformi possibilità, era veramente necessario creare una storia così banale?
sabato 21 luglio 2012
L'ultimo soldato (2)
Il suo nome era Milton – iniziò una voce di sottofondo – non sapeva quello che lo aspettava, nessuno lo poteva immaginare. Qualcosa però lo spingeva a farlo, a combattere.
Una donna sulla cinquantina, il volto ormai da tempo travolto dalla vecchiaia, verso la quale non aveva tentato nemmeno una minima resistenza, una lunga ed inelegante sottana con una fantasia a fiori, un golfino giallo canarino indossato come per rimanere nell'anonimato. I capelli color rame, raccolti, sicuramente tinti, per illudersi di essere ancora viva, o, almeno, per evitare di diventare totalmente invisibile agli occhi degli altri.
«Milton, ti prego, puoi ancora rinunciare, ti supplico» inizia a piangere, disperata, le sue lacrime colmano in breve tempo i profondissimi solchi che gli anni avevano inciso sulla sua pelle come un trattore sul campo da seminare.
L'inquadratura si sposta su un giovane alto e muscoloso, indossa un'attillata camicia bianca che ne risalta le forme, un paio di pantaloni militari e anfibi neri, lucidissimi.
«Mamma, ne abbiamo già parlato, ora basta! Ho 18 anni e mezzo e posso fare quello che voglio della mia vita» la mascella quasi bionica si richiude, ricomponendo il suo viso liscio, delicato e pulito. Come se un risentimento stesse risalendo dal profondo del suo ventre, forzato, si volta verso di lei e, pentito, dice: «Senti» la prende per le braccia «devo farlo, so che non capisci e forse non capirai mai, ma sento dentro di me qualcosa che mi spinge a imboccare questa strada» molla la madre con freddezza e raccoglie un sacco color verde scuro, un verde paludoso, e inizia a riempirlo di calzini bianchi e altri indumenti, non curante della reazione della madre, verso la quale si sposta la telecamera, inquadrando un volto struggente.
Il solito filmetto da quattro soldi, riflettei fra me e me, com'è possibile che nessuno riesca a pensare abbastanza fuori dagli schemi per creare qualcosa di nuovo? Il bello che deve andare in guerra, la mamma disperata, ora vedremo anche la fidanzata disperata immagino...
Compare una ragazza splendida, di quelle che sono totalmente inconsapevoli del proprio fascino e che, soprattutto, non fanno nulla per accentuarlo, belle di natura. Pura e semplice, ha lunghi capelli lisci castani e un viso minuto ma incredibilmente grazioso. Indossa un paio di jeans attillati e una t-shirt bianca con un girasole, un abbigliamento non studiato, non pensato, ma proprio per quello irriproducibile. Saliti tre scalini bianchi inizia a bussare ad una porta dello stesso colore. Neanche il tempo di sbattere le ciglia che già stava premendo con grande insistenza il campanello, spazientita per l'attesa. Quindi inizia a bussare più forte, a suonare e a bussare, a bussare e a suonare, sicuramente i tonfi della porta che rimbalzava sotto i suoi tumulti si sentivano fin da lontano. Improvvisamente la porta si apre. Il ragazzo emerge dal buio dell'interno.
venerdì 20 luglio 2012
L'ultimo soldato
- Buonasera, uno per “L'ultimo soldato” grazie
- Ecco a lei, buona visione
- La ringrazio
Preso il biglietto mi diressi verso il corridoio che mi avrebbe introdotto nella sala. A braccia conserte, quasi a guardiano di un cancello per l'aldilà, un uomo di mezz'età: sulla sommità della testa stava progressivamente espandendosi una calvizie alquanto pronunciata, gli rimaneva ormai solamente un piccolo atollo di capelli grigiastri; gli occhi spenti, opachi, fumosi, come due fantasmi in pena cercavano la redenzione in una scenografia violacea, inutilmente; non era particolarmente alto, né particolarmente magro, a dir la verità non aveva alcun particolare che lo distinguesse dalla massa, un comune essere umano: vestito banalmente attraverso un accostamento di colori acido e violento che confermava la sua totale noncuranza per l'apparenza. Dava l'impressione di essere stanco, esausto, distrutto. La professione di strappa biglietti sembrava averlo svuotato, privato dell'essenza e sfruttare opportunisticamente il suo corpo come involucro. La tipica persona con la quale hai un contatto ma che, in realtà, ha per te una valenza approssimativamente pari a zero, triste dopotutto, soprattutto in un giorno come quello. Gli porsi il biglietto.
- …
- Prego, buona visione e buon anno soprattutto
Mi disse con aria spazientita, quasi l'avessi improvvisamente e rudemente strappato dai suoi pensieri.
- Grazie
Una gentilezza gratuita, pronunciata come se costretti; forse per questo si disperse rapidamente nell'aria, priva di consistenza.
Nel giro di qualche passo ero già all'interno del locale. Le luci erano ancora accese e come al solito sul grande schermo venivano proiettate pubblicità dei locali nelle circostanze, dei paesi vicini, pizzerie, oreficerie e centri informatici. La sala era quasi vuota: qualche coppia di anziani e qualcuno in solitario, tutti adeguatamente disposti in maniera tale da essere distanti almeno 5, 6 posti l'uno dall'altro; quasi si avesse paura di un contatto umano, quasi fosse implicita, ovvia, data per scontata la necessità, quando possibile, di stare il più possibile distanti l'uno dall'altro, per avere maggiore comodità, forse, privacy, magari o, semplicemente, per paura del confronto con l'altro, di sottoporsi all'inevitabile giudizio dello sguardo estraneo. Scelsi con accuratezza scientifica il posto in cui sedermi, e, facendolo, mi sentii fiero di aver messo in pratica ciò che sin da piccolo mi veniva consigliato in merito all'incredibile vista che si aveva da una posizione elevata, ma non troppo, e quanto più possibile centrale rispetto allo schermo. Tolsi la giacca e con grande precisione la disposi sul sedile a fianco, sicuro che quella fosse la posizione migliore. La mia fila era occupata solamente da un'altra persona, una donna, una bella donna, aveva l'aria sicura di sé, di quelle esponenti del mondo femminile che già al primo incontro ti conoscono meglio di te stesso e ti trapanano con il loro sguardo di sufficienza stabilendo sin da subito i limiti che non dovevi superare e che, nella maggior parte dei casi, non potevi nemmeno sperare di raggiungere. Doveva sicuramente avere una buona ragione per essere in uno squallido cinema di periferia, soprattutto in un giorno del genere.
Si spensero le luci, stava per iniziare.
Una scritta a caratteri cubitali: 21 Giugno 1939, Londra
Anfibi di pelle nera, lucidissimi. Avanzano creando un suono piacevole, quasi rassicurante su uno splendente parquet.
martedì 17 luglio 2012
Delirio informatico (2)
Ciò che è terrificante è che attraverso la tecnologia è facile ingannare. Un tempo i genitori, i nonni erano nettamente superiori ai figli, ai nipoti, questo permetteva loro di guidarli, di istruirli, di inculcare loro un certo tipo di valori, di mettere le proprie esperienze di vita a servizio degli altri, ora un ragazzino di 12 anni sa già cos'è un iPhone, che differenza c'è con un Samsung Galaxy Ace Plus, cos'è un tablet e come riconfigurare la televisione per il digitale. Ora i giovani controllano gli adulti. Un tempo il 100% dei soldi che davi a tuo figlio sapevi dove finivano: una pizza con gli amici, benzina per la macchina, regalo di compleanno per la fidanzata, una birretta il venerdì sera, ora invece questa percentuale si è drasticamente ridotta. Molti genitori non sanno scaricare una canzone dal PC o mandare un'e-mail, dunque come possiamo pretendere che conoscano le ultime funzionalità, potenzialità e novità tecnologiche così da compiere acquisti oculati? Non è possibile. Superfluo dire che esistono eccezioni, anche io ho amici con genitori “informati di informatica”, per passione, curiosità o lavoro, ma sono una minoranza. Un tempo la mamma poteva dire no al figlio che gli chiedeva di comprargli quel tal pacchetto di caramelle, perché sapeva che gli avrebbero fatto male, allo stesso modo poteva coprirgli gli occhi durante una scena hard di un film qualsiasi. Ora la mamma compra il cellulare al figlio senza comprendere a pieno i suoi poteri, cosa impedisce al bambino di ritirarsi nella propria camera e, quando è da solo, guardarsi un filmino porno o comprarsi online il pacchetto di caramelle che tanto desiderava? La tecnologia ha reso i giovani troppo potenti, troppo superiori ai vecchi. Loro non possono guidarsi da soli, non possono, non riescono.
Inganni non solo interni, ma anche esterni. Nemmeno il bambino può comprendere a pieno la forza del cellulare che sta andando a comprare, non conosce le caratteristiche specifiche come il processore, la qualità della fotocamera digitale o i sistemi operativi, magari ha sentito qualche nome, ma non li conosce nel profondo, non li sa confrontare con gli altri. Questo apre un'altra fascia di libertà, questa volta al venditore, che può facilmente aggirare, ingannare, è una sorta di Azzeccagarbugli del ventesimo secolo, che usa parolone incomprensibili, prestiti stranieri o neologismi e riesce, magari, a convincerti a comprare un oggetto più costoso di un altro. Oggi quando ho comprato il cellulare, nonostante fossi relativamente sicuro, per via di informazioni ricevute da miei amici NERD, dell'acquisto, ho sperato nel mio profondo che quel venditore di cellulari fosse moralmente integro, onesto potremmo dire.
Dall'informazione tecnologica, insomma, derivano grandi poteri, e, come sappiamo tutti, da grandi poteri derivano grandi responsabilità.
Delirio informatico (1)
Oggi ho comprato un nuovo cellulare. Anzi, meglio, oggi mi è stato comprato un nuovo cellulare. 200€. All'incirca 22 ore di lavoro. Quasi 3 giorni di lavoro. 3 giorni di lavoro per un cellulare. 3 giorni di fatica, sudore, forza di volontà, resistenza fisica e mentale, sopportazione e sofferenza, per un cellulare. Un oggetto che può chiamare, può mandare messaggi e, ora, può anche farti leggere la Divina Commedia ovunque tu sia, può farti connettere ad internet nel centro di Roma e scrivere che sei al centro di Roma in un social network così che tutti lo sappiano, può offrirti centinaia di giochi, può assisterti, coccolarti ovunque tu sia. Un oggetto non veramente utile. L'uomo per anni, decenni, secoli, migliaia di anni ha vissuto senza il cellulare, ha vissuto senza Temple Run o la Divina Commedia portatile. Da quando siamo diventati così pigri? Così dannatamente schiavi non solo della tecnologia, ma delle comodità. Sì, sicuramente l'uomo ha da sempre la tendenza a facilitarsi la vita, non è mica stupido, a rendersi tutto più rapido e semplice. Questo è normale. Dal mio punto di vista è una fortuna non dover rischiare la morte per attraversare l'Oceano Atlantico come fece Cristoforo Colombo. Però c'è un limite a tutto, certe cose sono eccessive. L'altro giorno ho visto alcuni ragazzi seduti uno a fianco dell'altro, tutti con il cellulare. E' questo che siamo diventati? Prigionieri della tecnologia? Incapaci di comunicare apertamente, direttamente, umanamente l'uno con l'altro? Io spero di no, però intanto mi giro fra le mani un pezzo da 200€, ipocrisia? Sì, un po', però consapevole, triste, malinconica.
venerdì 15 giugno 2012
Il poeta senza poesia (3)
Si voltò e vide un uomo e una donna dai tratti tipicamente orientali con due enormi macchine fotografiche nere che pendevano dai loro colli. Erano vestiti in maniera alquanto semplice: lui indossava una maglietta rosso sbiadito e priva di scritte, loghi o disegni, solo una piccola tasca nella parte destra, e un paio di jeans; lei, come si conviene ad un'esponente del mondo femminile, appariva leggermente più curata: un leggero velo di trucco, soprattutto intorno agli occhi e sulle guance, nel primo caso di un verde scuro ma luminoso, in tono con il suo abbigliamento, nel secondo di un rosso tenue, delicato, per dare più spessore e vita al suo volto altrimenti troppo pallido. Indossava una camicia verde bottiglia e un paio di pantaloni neri che si stringevano sulla caviglia, lasciando il posto a un paio di sandali di pelle nera che mostravano i suoi piedi piccoli e dai morbidi tratti. - Ecscuse me – iniziò a dire lui, facendo uso di un inglese misto ad italiano che rivelava ampie contaminazioni nella pronuncia della sua lingua originale – c-c-como, come chiamare questo luogo? - Enrico alzò un sopracciglio e assunse un'aria altezzosa – Castel Vecchio – rispose senza tanti giri di parole. L'uomo guardò la donna e ripeté a bassa voce – Cassel Veco -, al che Enrico alzando la voce, soprattutto in concomitanza delle lettere sbagliate dal quello strano tipo, e allungando infinitamente ogni lettera, disse – No, non “Cassel Veco”, CaaassTeeel – fece una breve pausa – VecHIIIIoo – poi, per chiudere definitivamente, una volta per tutte, la questione – CASTEL VECCHIO – quasi urlando. - Ah, capito capito, grazie grazie – ripeté più volte; erano, evidentemente, alcune delle prime parole della nostra lingua che aveva imparato e aveva sviluppato quasi un rapporto di intimità con esse, lo rassicuravano. Dopo questa brevissima conversazione, i due si allontanarono da Enrico, presero in mano le loro ultramoderne macchine fotografiche e iniziarono a immortalare quel luogo. Nel farlo presero posizioni strampalate: sdraiandosi sulla strada, in ginocchio, muovendosi a gattoni come due neonati, sostenendosi a vicenda nel cercare di raggiungere un punto più elevato, addirittura tentarono di arrampicarsi su uno di quegli alberi eterni, cadendo però brutalmente a terra, forse facendosi anche male. Quelle povere piante dovevano aver visto di tutta nella loro lunga vita: cavalieri, poeti, sparatorie, sangue, lacrime, feste ma mai dovevano aver assistito ad una scena tanto comica. Dopo circa una ventina di minuti scomparvero nell'orizzonte, forse in cerca di nuovi paesaggi da catturare e poi mostrare agli amici una volta ritornati dal loro viaggio. Enrico si soffermò a riflettere su quanto gli era appena accaduto.
domenica 3 giugno 2012
Il poeta senza poesia (2)
Sbuffò e si alzò per recuperarla. Non fece neanche tre passi che mise il piede al di sotto di una radice rialzata di un albero nei pressi di quel luogo così incantevole, questo lo fece sbalzare bruscamente in avanti, ricadere malamente sul suolo e rotolare per qualche metro, riempendolo di foglie e rametti lì sparsi. Ancora a terra si passò rapidamente una mano in testa per controllare che fosse ancora integra, accertatosi di questo, si rialzò, si diede una rapida scrollata e, infuriato, si mosse presso il punto in cui doveva, all'incirca, essere caduta la penna. Le spighe in quella ristretta area, per sua sfortuna, si facevano più fitte e alte del normale, tanto che gli arrivavano sino alla vita e non permettevano di vedere il terreno da cui spuntavano. Allora si chinò e iniziò a tastare il terreno con il palmo delle mani. Un piccolo, leggero, impercettibile formicolio si propagò dalla mano sinistra sino alla spalle. Pensando si trattasse solo di una roccia più aguzza e crudele delle altre non se ne curò e continuò la propria ricerca. Si era ormai dato per vinto, quando iniziò a tastare qualcosa di consistente, non doveva però essere la sua penna perché era molto più molliccio, viscido quasi. - AAAAAAAAAAAAAH – gridò a squarciagola, prima che un dolore lancinante gli fiaccasse la voce, iniziò a mordersi il labbro inferiore e a diventare paonazzo, estrasse velocemente la mano e osservò sconcertato una giovane biscia di un verde brillante attaccata al suo polso per i denti e contorcersi in tutte le direzioni. Iniziò ad urlare e a correre a destra e a sinistra, a sinistra e a destra, senza una ragione precisa, come un pazzo furibondo che non aveva mai conosciuto il significato della parola “senno”. Quindi, vedendo che l'animale non si staccava, anzi, sembrava quasi stringere più forte la morsa ad ogni suo grido e dal momento che nessuno lì vicino poteva aiutarlo, iniziò a sbattere violentemente la mano contro il tronco di un albero non molto distante da lui e a strillare più forte che mai, non capendo se era più dolorosa la stretta di quell'infido animale o la mano che iniziava a ricoprirsi di sangue e tagli, alcuni leggeri, superficiali, altri più profondi, a forza di colpire quella corteccia. Finalmente, dopo l'ennesimo colpo, l'animale si decise ad aprire le fauci e prima ancora che potesse essere nuovamente maledetto da Enrico fuggì nel verde erboso. Sì guardò la mano: era bluastra e pulsava insistentemente, mentre fiumi di sangue gli percorrevano tutto il braccio. Tuttavia, nonostante la mano dolorante e sanguinante, decise di non arrendersi: tornò allo zaino, estrasse un fazzoletto bianco con cui si tamponò le ferite e poi ne strinse un altro, come un fascia, tutt'intorno al polso; quindi prese un'altra pena, quella di scorta, per eventuali emergenze, come quella che gli era appena capitata. Si guardò intorno e notò un cantuccio al riparo da un gigantesco albero, perfetto per quello che doveva fare, lo scelse come il luogo in cui avrebbe reso parola il piacere di quel luogo e si sedette. Finalmente iniziò a scrivere. Partì dal cielo, poiché quel giorno gli pareva particolarmente ispiratore e promettente. Non passarono neanche trenta secondi che si accorse che il sole colpiva energicamente la sua guancia destra, cosa che non gli dava poco fastidio visto che sembrava quasi bruciargliela. Decise allora di scansarsi un pochetto, così da essere totalmente ricoperto dall'ombra dell'albero. Il terriccio sconnesso, brullo era però pieno di rametti appuntiti, steli rigidi di pagliuzza, sassolini e altre diavolerie vegetali che torturavano non poco il suo fondo schiena. Inizialmente fece finta di niente, pensando di essere in grado di sopportare quel fastidio, infine dovette arrendersi e spostarsi nuovamente. Chiuse gli occhi, tirò un profondo e lunghissimo sospiro cercando di liberarsi la mente da qualsiasi altro pensiero e di placare il suo spirito così movimentato ed agitato; era sicuro, infatti, che perché potesse fedelmente affrescare con parole profonde e dense di significato quel luogo dovesse prima di tutto essere lui stesso tranquillo. Raggiunta una pseudo-serenità interiore riprese a parlare del cielo. Passarono cinque minuti ed era ancora intento a definire minuziosamente quell'azzurro e limpido tetto che lo sovrastava, quasi se ne sorprese, viste le precedenti disavventure. Per qualche istante staccò la penna dal foglio, la iniziò a mordicchiare con la bocca e rivolse lo sguardo verso il paesaggio, iniziando a pensare alla propria vita passata, presente e futura, alienandosi temporaneamente dal suo progetto. Improvvisamente sentì un leggero fastidio alla spalla, quasi un ticchettio, ma non vi fece caso. Dopo qualche secondo lo pervase la stessa sensazione, come se qualcosa lo stesse colpendo, delicatamente sì, ma anche in maniera alquanto noiosa ed insistente.
giovedì 31 maggio 2012
Il poeta senza poesia (1)
- Uff, un ultimo sforzo e ci sono – disse, ansimando e sbuffando, fra sé e sé, mentre si inerpicava per l'ultima, ripida salita che lo divideva dal luogo che aveva visto qualche giorno prima e che lo aveva tanto piacevolmente impressionato. Era esausto, il sudore gocciolava dalla sua fronte bagnandogli la maglietta, i muscoli delle gambe ad ogni nuovo piegamento gridavano in cerca di pietà e riposo, le mani tumefatte e livide avevano assunto un colorito violaceo, tuttavia, nonostante il dolore, spese le sue ultime energie e raggiunse la meta da lui prestabilita. Scese dalla bicicletta, tirò un profondo sospiro di sollievo e si posizionò, mani ai fianchi, a gambe aperte difronte al paesaggio. La vista era spettacolare: il cielo limpido, trasparente, libero da nubi infondeva un profondo senso di pace e serenità e permetteva di scorgere addirittura il paese in lontananza, Farso, e le varie case raccolte intorno al suo centro. Nessun cantiere, palazzo, strada, semaforo intaccava quel luogo, se non qualche palo della luce infilato qua e là nel terreno. Gli unici suoni che si udivano erano quello di un mulino in lontananza e di qualche grillo; erano melodie, musiche per le sue orecchie, in tutto dissimili dai metallici, sgraziati e aggressivi sferragliamenti, cigolii, strepiti della città. Un leggera e piacevole brezza accarezzava il suo volto, facendolo sorridere. La terra davanti a lui era tutt'altro che lineare, presentava varie gobbe, sinuose nelle proprie curve, divise da alcuni alberi affastellati uno sull'altro. Sporadicamente, sul culmine di quelle bolle terrose comparivano casupole, alcune bianche, altre rosse, gli unici colori che si distinguessero dal verde che con tutte le sue tonalità abbracciava ogni cosa. In lontananza alcuni calanchi con le loro forme aguzze e spente, apparivano arti in cancrena di un corpo estremamente vitale. Ma nonostante la loro apparenza cadaverica, qualche ciuffo d'erba era riuscito ad imporsi su di essi, quasi a stendardo della forza della natura. Se vi fosse stato un ruscelletto di acqua fresca e pura si sarebbe a tutti gli effetti potuto definire come un Paradiso. Un profondo spirito poetico si impossessò di Enrico, quasi che le anime dei grandi poeti del passato avessero improvvisamente deciso di sfruttare il suo corpo come involucro e rendere partecipi, con i loro aulici versi, l'umanità della piacevolezza di quel luogo. Estrasse rapidamente dallo zaino un blocco appunti e una penna. Decine, centinaia, migliaia di idee iniziarono a affollargli il cervello. Non appena trovò una pagina bianca, vuota, pronta per essere riempita con le proprie considerazioni su quel luogo così ispiratore, la penna gli cadde accidentalmente a terra e iniziò a rotolare lungo la collina, fino a confondersi nel campo di spighe poco avanti a lui.
domenica 6 maggio 2012
Quando la vendetta diventa eroica!
Titolo originale: The Avengers
Durata: 143 minuti (2 ore e 23 minuti, è molto più comodo così...)
Regia: Joss Whedon (Buffy L'Ammazza Vampiri e Angel tra le altre cose)
Premetto che non sono un critico cinematografico né voglio fingermi come tale, anzi, se volete un parere tecnico o comunque più "colto", vi consiglio di guardarvi (per riallacciarmi al post precedente) i video di due YouTubers italiani: iltizioqualunque e victorlaszlo88. La mia sarà dunque un'impressione, solo in minima parte, ormai, influenzata dal mio passato come lettore Marvel (una piccola lacrimuccia riga il mio volto).
Ammetto che mi aspettavo davvero molto poco da questo film, tanto che prima di vederlo ho acidamente demolito le speranze e l'entusiasmo di tutti coloro che, in mia presenza, vi accennavano. Questo perché i film sfornati dai Marvel Studios spesso erano lontani dalla realtà fumettistica. In sé questo può essere scusato, dopotutto non si può pretendere una estrema fiducia, letteratura e cinema son pur sempre due forme artistiche differenti, per cui per necessità qualcosa dev'essere diverso, ma ciò non giustifica la decisione di una trasposizione cinematografica. Tanto che film come Thor sembravano pensati per meri fini commerciali, fra cui l'arrivo a questo lungometraggio. Ricordo infatti che i personaggi raccolti sono, oltre alla Vedova Nera (già apparsa in Iron Man) e Occhio di Falco, Thor, Iron Man, Hulk e Capitan America, per ciascuno dei quali in passato era stato realizzato un film, così che il grande pubblico si potesse avvicinare a loro singolarmente, conoscendoli intimamente, prima di vederli tutti insieme. Non fraintendetemi, il mio non è un giudizio generico e generale, Iron Man (più il primo che il secondo) l'ho comunque apprezzato.
Con mia grande sorpresa, invece, si è rivelato un film piacevole. Per chi non conoscesse il genere, non aspettatevi una composizione poetica e densa di significato come Taxi Driver, si tratta di un film, giustamente, ricco d'azione, dopotutto parliamo di supereroi.
Ciò che più ho apprezzato è stata la caratterizzazione dei personaggi, quasi perfettamente rispecchianti quelli del fumetto, soprattutto per i costumi, praticamente identici: Capitan America è un uomo di altri tempi (lottò durante la seconda guerra mondiale) impregnato di patriottismo e virtù morali, un soldato avvolto da stelle e strisce per il quale gli ordini sono un dovere. Iron Man può essere brevemente riassunto attraverso una citazione dello stesso film, Capitan America chiede "Sei grosso con l'armatura, senza quella che cosa sei?" risposta: "un genio, miliardario, playboy, filantropo!". Sicuro di sé, brillante e, soprattutto, potente, nel film saprà farsi stimare. Thor, dio asgardiano, rappresenta l'individuo estraneo all'umanità, altezzoso, fiero e non sempre in grado di comprendere le manovre terrestri. Infine lui, Hulk, la controparte oscura per eccellenza, quando è tranquillo e sereno, come Bruce Banner, altro non è che un dottore, di intelletto fine e recluso, volontariamente, dalla società, ma quando si infuria la sua collera achillea è titanica ed incontrollabile: una vera forza della natura.
Proprio quest'ultimo personaggio è alla base di alcune trovate comiche particolarmente divertenti, ad esempio quando sbatacchia di qua e di là Loki, dopo che quest'ultimo aveva appena espresso tutta la propria albagia. La forza del film è proprio questa: un mix esplosivo di azione (certe scene di lotta sono veramente incredibili), drammaticità (la morte di un agente S.H.I.E.L.D. che farà da molla alla loro ricomposizione), effetti speciali pregevolissimi, e quel pizzico di humor che fa sempre sorridere. Corretto il non utilizzo del motto Vedicatori Uniti! che avrebbe rappresentato un eccesiva forzatura, nonostante sia di grandissimo effetto e generi un luccichio negli occhi di qualsiasi appassionato che lo pronunci.
Non posso che concludere esortandovi a vedervelo, anche se non siete fan del genere cinematografico, potrà comunque sorprendervi ed interessarvi.
Un eco universale di dolore
"Se rientrassi di là, nella sua stanza e gli dicessi con gioja «Signor Nuti, sa? Ci sono le stelle! Lei certo se n'è dimenticato; ma ci sono le stelle!», che avverrebbe? A quanti uomini, presi nel gorgo d'una passione, oppure oppressi, schiacciati dalla tristezza, dalla miseria, farebbe bene pensare che c'è, sopra il soffitto, il cielo e che nel cielo ci sono le stelle. Anche se l'esserci delle stelle non ispirasse loro un conforto religioso. Contemplandole, s'inabissa la nostra inferma piccolezza, sparisce nella vacuità degli spazii, e non può non sembrarci misera e vana ogni ragione di tormento."
Quaderni di Serafino Gubbio operatore - Luigi Pirandello
Quaderno V, capitolo I.
Volevo condividere una frase particolarmente significativa di quest'opera di Pirandello: "I quaderni di Serafino Gubbio operatore", forse non una delle più famose, sicuramente non è al pari, per celebrità, de "Il fu Mattia Pascal" o di "Sei personaggi in cerca d'autore", ma decisamente interessante. In realtà questa citazione non riassume il significato dell'opera che invece si presta a descrivere il processo di disumanizzazione promosso dal sistema cinematografico, però la ritengo comunque di grande pregio.
Di qualsiasi origine sia il dolore: il fisico, l'amore, il lavoro, la scuola, l'amicizia, anche semplicemente un'attività che a noi piace, un hobby, chiederci, per sfruttare un'ulteriore citazione pirandelliana, se "Siamo o non siamo su un’invisibile trottolina, cui fa da ferza un fil di sole, su un granellino di sabbia impazzito che gira e gira e gira, come se ci provasse gusto a girar così, per farci sentire ora un po’ più di caldo, ora un po’ più di freddo, e per farci morire – spesso con la coscienza d’aver commesso una sequela di piccole sciocchezze – dopo cinquanta o sessanta giri?" (cit. da "Il fu Mattia Pascal") può sempre aiutare.
Che ne pensate?
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sabato 5 maggio 2012
Il tuo Tubo [2/2]
Penso sia particolarmente significativo il caso di quest'ultimo personaggio da me citato, il cui vero nome è Guglielmo Scilla. Il suo canale contiene video in cui lui racconta ed interpreta la realtà, situazioni imbarazzanti, come vedere un video con scene hot insieme a parenti, oppure comportamenti umani particolarmente fastidiosi. Ciò che però è più importante rilevare è che tutto questo gli ha fornito una notorietà sufficiente a permettergli di partecipare ad un programma di "Radio Deejay", di pubblicare un libro ("10 regole per farla innamorare") e anche, addirittura, di girarne l'omonimo film. Nel mondo, nell'Italia odierna fare cose di questo genere è particolarmente complicato e difficile: farsi conoscere sembra quasi impossibile a volte. Penso sia indicativo del grande potere mediatico che YouTube sta assumendo, accrescendo di giorno in giorno la sua capillarità ed influenza. Una conferma di questo è data dall'incredibile aumento di pubblicità che il sito è andato presentando nel corso degli anni, a oggi, oltre a banner pubblicitari più o meno grandi dentro il tubo e sulla sua facciata, spesso sei forzato a guardare veri e propri spot della durata media di una ventina di secondi. Il motore che muove la macchina è proprio questo: l'advertising. Per incrementare ulteriormente la propria forza, YouTube ha creato poi un sistema di contratti che va sotto il nome di partnership in cui in cambio di nuove funzionalità nel canale (ad esempio sotto l'ambito grafico) e di un pagamento (insignificante se non si raggiungono numeri come quelli statunitensi) proporzionato ad una somma di fattori tra cui numero di visualizzazioni e di video pubblicati, "loro" acquiscono il diritto di immettere diverse, tanto per tipologia quanto per forma, come detto poco sopra, inserzioni pubblicitarie.
Detta così sembra un sogno, effettivamente; come in tutte le cose, però, è necessario impegno per ottenere dei risultati. Non è per nulla facile realizzare un video di alto livello: richiede conoscenze tecniche sia nell'acquisto e nell'uso dell'attrezzatura, sia nel montaggio, attenzione nella cura della parte musicale (alcuni particolarmente talentuosi le compongono da sé, vista la grande censura per copyright) e, soprattutto, capacità di recitazione o, comunque, di mantere attiva l'attenzione dello spettatore, abilità non da poco. Per cercare di ovviare almeno al primo punto, YouTube qualche mese fa ha indetto un concorso chiamato "Next up" in cui erano messi in palio 20.000€ (pensati principalmente per essere usati nell'acquisto di strumentazione) a chi, tra gli utenti ancora senza partnership, avesse realizzato il miglior video nell'esprimere gli obiettivi per cui avrebbe usato questi soldi. In Italia abbiamo avuto tre vincitori: enricozerodx, juliusfahn e zizzomagic, tutti e tre geniali a loro modo, consiglio infatti caldamente di seguire i loro canali o, almeno, di dar loro una sbirciatina.
Insomma, YouTube è veramente molto più di semplice sito web e la grande frequentazione, sia da registi che da spettatori, ne è la suprema conferma. La possibilità di avere un feedback immediato e di formarsi un pubblico unitamente a una grande semplicità sono, a mio parere, le sue carte vincenti, che lo porteranno ad avere un ruolo sempre più imponente nel contesto digitale/mediatico moderno. E voi, cosa aspettate? Trasmettetevi!
venerdì 4 maggio 2012
Il tuo Tubo [1/2]
TuTubo: questa la traduzione italiana di uno dei siti maggiormente visitati al mondo. Il suo motto? Semplice: Trasmetti te stesso (Brodcast Yourself). Uno slogan icastico, che unisce brevità, semplicità ed intensità e sembra quasi una risposta, un suggerimento a tutti coloro che non sanno come impiegare il proprio tempo, dove farlo o, soprattutto, come ottenere una notorietà pseudoteleviva: trasmettiti!
Come funziona? Niente di più facile: il sito permette tanto la condivisione quanto la visualizzazione di video, l'iscrizione rende disponibile un tuo canale privato (ove poter caricare i video, e non dico "tuoi video" per un motivo ben preciso), ti viene fornita la possibilità di esprimere il tuo favore positivo o meno nei confronti dei video mettendo "mi piace" o "non mi piace" (rappresentati da due pulsanti, uno con un pollice levato all'insù e uno invece rivolto verso il basso - ricorda il sistema di giudizio usato nell'antica Roma per i gladiatori: anche questo strumento mi pare eccezionale per semplicità ed efficacia) e di commentare.
Fino a qualche tempo fa, personalmente, lo usavo unicamente per guardare sporadicamente video su consiglio di amici/parenti o videoclip musicali dei miei artisti preferiti (e devo ammettere che ancor oggi per lo più lo sfrutto per questo) quindi non avevo veramente necessità di registrarmi. Nonostante ciò, recentemente e casualmente, spinto dalla volontà di commentare e sostenere i miei cantanti o band preferiti, ho deciso di creare il mio account e nel giro di poco tempo sono venuto a contatto con un certo Daniele Doesn't Matter (attenti a pronunciare Matter all'italiana, cioè esattamente come lo si legge, perché è parte integrante della sua ideologia). Si tratta di un giovane ragazzo che nella sua camera da letto sviscera argomenti qualsiasi di fronte alla videocamera: dalle "botte di fortuna" ai "cliché dei film horror", dai "fenomeni paranormali" alle "regole del galateo". Al principio si trattava di qualcosa a cui davo poco conto, che guardavo per lo più di sfuggita, come "riempibuchi" del mio tempo sul tubo; ben presto, però, ho iniziato a seguirlo in maniera più costante, fino a che ogni venerdì (il giorno da lui prestabilito per l'uscita del video) mi fiondavo appena potevo presso il suo canale () e mi godevo la sua ultima composizione.
Attraverso citazioni di Daniele e video suggeriti dallo stesso sistema, son venuto nel giro di qualche mese a conoscenza di un'immensità di altri utenti come lui, detti "YouTubers", fra cui, per di più, il suo nome non era dei più conosciuti. Ciò che è ancor più sensazionale è la vastissima variegatura di questo universo digitale: chi fa video di cucina (tuttofadado* ne è un esempio), chi fa recensioni di film sconosciuti (yotobi), chi fa parodie (nonapritequestotubo) e chi, addirittura, da lezioni di matematica nel modo più fantasioso possibile (matemarika86). E questi sono solo una ridottissima frazione dell'incredibile mondo di youtube. Ovviamente sotto l'effetto di questo entusiasmo spropositato mi sono informato sui più celebri YouTubers del mondo, scoprendo i nomi di raywilliamjohnson e nigahiga entrambi americani (strano penserà qualcuno) e con oltre 5 milioni di utenti al seguito, numeri con cui gli italiani non possono proprio pensare di competere, nonostante il nostro willwoosh, al momento sul trono del più seguito, abbia raggiunto i 250.000 iscritti. Termine di nuovo conio per queste Very Important People è stato Webcelebrity, giustamente.
*Per evitare confusione, da qui in avanti userò solamente i nomi propri dei canali di YouTube, che a volte non sono veramente i titoli con cui si allude ad un certo artista. Per fare un esempio, il duo a cui ci si riferisce con il nome di "HMatt" possiede un canale chiamato invece "outlawz88". E' una scelta determinata principalmente dal fatto che in tal modo un'eventuale ricerca sul sito darebbe immediatamente il risultato richiesto.
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